Santi del 28 gennaio
*Agata Lin Zhao *Agata Lin Zhao e & *Angelo da Canosa *Antonio da Burgos *Bartolomeo Aiutamicristo *Carlomagno *Emiliano di Trevi *Gentile Giusti e & *Giacomo *Giovanni de Medina *Giovanni di Reome *Girolamo *Giuliano di Cuenca *Giuliano Maunoir *Giuseppe Freinademetz *Lorenzo Wang Bing *Maria Luisa Montesinos *Meallan di Celle *Olimpia Bidà *Pietro Wong Si-jang *Tommaso d'Aquino *Valerio di Saragozza *Altri Santi del giorno *
*Sant'Agata Lin Zhao - Vergine e Martire (28 Gennaio)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
"Santi Martiri Cinesi (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)" 9 luglio - Memoria Facoltativa
Ma-Trang, Cina, 1917 – Maokou, Cina, 28 gennaio 1858
Nacque nel 1817, mentre il padre era in carcere per la fede cristiana. Si diede durante la giovinezza allo studio della religione cristiana per essere una valente catechista. Fu diretta spiritualmente per un certo tempo da padre Auguste Chapdelaine delle Missioni Estere di Parigi. Insegnò il catechismo nel villaggio di Tapatien fino a quando il vicario apostolico Albrand allargò il suo campo di apostolato, conferendole lo stesso incarico per varie altre località. Agata condusse alla conversione molte persone. Subì il martirio per decapitazione insieme ai catechisti Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing, il 28 gennaio 1858. È stata beatificata, come i suoi compagni di martirio, il 2 maggio 1909 e, inserita nel gruppo dei 120 Martiri Cinesi (di cui fa parte anche il già menzionato padre Chapdelaine), canonizzata il 1° ottobre 2000.
Martirologio Romano: Nella città di Maokou nella provincia del Guizhou in Cina, Santi martiri Agata Lin Zhao, vergine, Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing: catechisti, furono denunciati come cristiani sotto l’imperatore Wenzongxian e infine decapitati.
Lin Zhao nacque nel 1817 a Ma-Trang, nella provincia di Guizhou, poco dopo che suo padre venne arrestato perché cattolico. Venne battezzata col nome di Agata tre anni dopo, alla sua liberazione.
Da bambina imparò a leggere e scrivere, cosa rara per l’epoca. Non era solo bella d’aspetto, ma anche molto intelligente: queste qualità fecero in modo che venisse promessa in sposa alla famiglia Li. Tuttavia, a diciott’anni, fece voto privato di verginità e, non appena venne a sapere della promessa, supplicò i suoi genitori di annullare il matrimonio. Anche se la cancellazione delle nozze avrebbe danneggiato la reputazione della sua famiglia nel circondario, le venne concessa.
In quello stesso anno, il padre francescano Matteo Liu le suggerì di entrare alla scuola femminile di Guiyang, per migliorare la sua istruzione.
Appena due anni dopo, dovette tornare a casa: a causa di una nuova persecuzione, suo padre era stato nuovamente arrestato e torturato. La famiglia, inoltre, venne derubata di tutti i propri beni e terreni. Quando l’uomo venne liberato, era così ammalato da non poter più lavorare, così Agata e sua madre dovettero guadagnarsi da vivere in prima persona. Padre Liu, però, venne a trovarla: l’incoraggiò e le suggerì d’insegnare il catechismo ai bambini nel tempo libero.
Dopo la morte del padre, sua madre decise di andare a vivere con un figlio nato dalle sue precedenti nozze, permettendo così ad Agata di seguire la sua vocazione. La giovane, così, divenne la direttrice di un’altra scuola femminile fondata da padre Liu e, a venticinque anni, professò formalmente il voto di verginità. Un anno dopo monsignor Albrand, il nuovo Amministratore Apostolico della diocesi di Guizhou, la incaricò dell’insegnamento alle bambine cristiane a Guiyang. Là visse austeramente, ospitata dall’insegnante Girolamo Lu Tingmei.
Quando lui e l’amico Lorenzo Wang Bing vennero arrestati e interrogati e, successivamente, liberati per avere tempo per riflettere, andarono a trovare Agata, alloggiata presso un certo Lu Ting Chen, per incoraggiarla: «Vergine Agata, non aver paura», disse Girolamo. «Abbiamo avuto un lungo dialogo sulla fede cattolica con il mandarino. Mi sembra che il mandarino abbia parlato bene, alla fine. Senza dubbio, non abbiamo nulla da temere».
Agata, all’epoca trentanovenne, rispose: «Preparate le vostre anime. Forse ci sarà il martirio o almeno, molto probabilmente, sarete condotti alla città di Lang-tai-tin per esservi giudicati».
Nel corso del secondo interrogatorio a cui i due catechisti vennero sottoposti, precisamente quando fu il turno di Lorenzo, il magistrato accusò Agata di essere venuta in città per collaborare al presunto complotto che credeva essere in atto da parte dei cristiani.
Poco dopo, fu il turno della vergine, che era stata arrestata forse o durante l’interrogatorio di Girolamo o al termine di esso. Quando i soldati, accompagnati da alcuni pagani, giunsero nella casa di Ting Chen, trovarono la stanza che fungeva da classe vuota, perché i bambini erano scappati. Era rimasta solo Agata, inginocchiata in preghiera, forse perché consapevole dell’arresto imminente. Dopo che ebbe consegnato alla padrona di casa i suoi effetti personali, seguì i soldati.
Gli Annali delle Missioni Estere di Parigi registrano che ella indossava un gilet di pelle sopra una lunga veste di colore blu scuro imbottita di cotone, due altre vesti più corte di cotone e dei calzoni viola. In testa portava un telo bianco, alla maniera del velo delle suore, che le copriva i capelli.
Entrata nel tribunale, piegò le ginocchia davanti al mandarino che fungeva da giudice, che l’interpellò in tono brusco: «Perché vi mettete così vicino? Allontanatevi. Inginocchiatevi laggiù.
Agata indietreggiò di qualche passo e s’inginocchiò accanto a Lorenzo Wang Bing. Quando il funzionario ebbe finito d’interrogare lui, si rivolse alla vergine.
«Qual è il vostro cognome?».
Rispose a voce alta e comprensibile a tutti:
«Il mio cognome è Lin».
«Il vostro cognome Lin è quello dei vostri genitori, o quello della famiglia dove siete entrata col matrimonio?».
«È il nome dei miei genitori, che l’hanno ricevuto da mia nonna, perché io non mi sono sposata.
«Perché vi siete dispensata dal matrimonio?».
«Io, povera e umile donna, conservo la verginità».
«Voi preservate la verginità! Ahi! Tutti si devono sposare. Rinunciando al matrimonio, distruggete una delle cinque relazioni necessarie fra gli uomini [secondo la tradizione cinese]. Come dunque avete potuto venire a Maokou? Chi vi ha mandata qui? Perché vi siete venuta?». «Sono venuta per insegnare i libri».
«Quali libri insegnate? […]».
«In questo paese, le bambine ignorano la nostra lingua e la nostra educazione. Io gliele insegno, affinché esse possano contrarre onesti matrimoni e quindi conversare con facilità con i genitori del loro marito. Inoltre, io insegno loro l’obbedienza. Infine, queste bambine imparano a rendere a ciascuno l’onore che gli è dovuto».
«Il mandarino non credeva a quello che la vergine raccontava: non capiva perché una donna sola, di un’etnia diversa da quella degli abitanti del luogo, si fosse avventurata in un luogo così lontano dal suo villaggio d’origine. Evidentemente, concluse, lei e gli altri due stavano architettando qualcosa di sospetto, sotto il pretesto di fare gli insegnanti. Le chiese dunque:
«Vi pentite di praticare questa religione cattiva?».
La vergine, con tono di voce pacato, rispose: «Io non mi pento! I signori Lu e Wang sono uomini; io, povera e umile donna, vergine, cosa potrei fare con loro contro la pace pubblica? Il grande uomo [il mandarino] mi ordina di rinunciare alla mia religione: come lo potrei? L’ho ricevuta dai miei antenati. Povera e umile donna, io adoro lo Spirito supremo, Principio sovrano di tutti gli esseri. Non posso rinunciare alla mia religione».
«Siete pazza! Voi non volete ubbidire al prefetto! Quale differenza tra il prefetto e i Chong-kia-tse [l’etnia che abitava a Maokou]: loro vi chiamano e voi venite per insegnare ai giovani e ai vecchi, mentre quando il prefetto vi ordina di rinunciare a questa setta e di tornare alla vostra famiglia, rifiutate di obbedirgli e lo disprezzate! Per questo, immediatamente, vi condanno a morte. Non lo capite?».
E, prendendo il suo pennello per scrivere, il mandarino tracciò la sua sentenza: «La donna chiamata Lin, che predica e pratica la religione del Signore del cielo, sarà punita con la morte». La stessa condanna fu emessa contro Lorenzo e Girolamo, il quale, appena l’ebbe udita, esclamò: «Gesù, salvaci!».
Fin qui il racconto come è descritto dagli Annali delle Missioni Estere di Parigi. Altre fonti affermano che Agata, non sopportando oltre gli insulti del prefetto, gli avesse chiesto: «Essere un tempio della castità significa mancare di rispetto alle autorità?». Subito dopo, gli altri due catechisti si mostrarono d’accordo con lei, causando la comune condanna.
Il 28 gennaio 1858 si consumò il loro martirio, circa verso le nove del mattino. Agata, mentre seguiva le guardie, non era legata, ma camminava di buon passo. Infine, i tre catechisti vennero condotti al terreno di esecuzione, sulla riva sinistra del fiume Ou. Il boia, per cominciare, strappò alla donna il segno della sua consacrazione, poi le legò i piedi, e sebbene chiedesse a coloro i quali la ammanettavano che lo facessero lentamente, non gli diedero retta.
Le crudeltà continuarono: il primo colpo di spada non la decapitò, bensì la colpì sul viso e la gettò al suolo. In seguito, il boia prese un coltello e cominciò a tagliare per staccarle la testa dalle spalle, ma, non si sa se per puro divertimento o per espresso ordine del mandarino, si fermò per toglierle il gilé che aveva addosso. La voce della martire, ancora viva, l’interruppe: «Preferisco che tu mi tagli cento volte con il tuo coltello piuttosto che tu mi tolga i vestiti».
Infuriato, il boia le colpì il collo con quell’arma per sette volte, al fine di staccarle la testa dal collo; ci riuscì al ventesimo colpo. Gli oltraggi non erano terminati: il cadavere di Agata venne oltraggiato proprio nel modo in cui lei non voleva. Di fronte all’evidenza, il mandarino si rese conto di aver sbagliato nell’essersi preso gioco di lei.
Si diffuse la voce che, al momento dell’esecuzione, tre fasci di luce rossa e uno di luce bianca fossero apparsi attorno a loro. Si disse anche che alcuni non cattolici, dopo la loro morte, avessero visto tre globi di luce salire in cielo. Alcuni loro amici, di notte, vennero a seppellirli.
Una curiosa leggenda racconta che un barbiere avesse tagliato le lunghe trecce che Agata portava sotto il velo, prima che lei venisse seppellita. Di notte, l’uomo sentì una voce femminile gridare: «Mi hanno rubato i miei capelli! Ridatemeli!»; subito corse a riportarli al luogo dell’esecuzione. Fatto sta che proprio alcune trecce attribuite alla martire, insieme a dei frammenti di ossa, vennero in possesso della Venerabile Paolina Jaricot, fondatrice dell’Opera della Propagazione della Fede, e oggi sono esposti nella sua casa-museo a Lione. Altre sue reliquie sono state collocate sotto l’altar maggiore della cattedrale di Anlong.
Agata Lin e i suoi compagni di martirio vennero inclusi nel gruppo di 33 martiri dei Vicariati Apostolici di Guizhou, Tonchino Occidentale e Cocincina, il cui decreto sul martirio venne promulgato il 2 agosto 1908. La beatificazione, ad opera di san Pio X, avvenne il 2 maggio 1909. Inseriti nel più ampio gruppo dei 120 martiri cinesi, capeggiati da Agostino Zhao Rong, vennero infine iscritti nell’elenco dei santi il 1 ottobre 2000, da parte del Beato Giovanni Paolo II.
Il ricordo della vergine insegnante è rimasto vivo, soprattutto come protettrice delle vocazioni femminili asiatiche. Ad esempio, l’"Annuaire de l’Eglise catholique en Chine" del 1950 riportava, fra le congregazioni religiose di diritto diocesano del Vicariato Apostolico di Anlong, il nome delle "Suore della Beata Agata Lin". Quella Congregazione era nata nel 1937, quando ventidue giovani, sotto la supervisione delle Suore Missionarie Canadesi di Nostra Signora degli Angeli, avevano iniziato la scuola per le prime aspiranti. Infine, vale la pena di segnalare che una Casa di noviziato dell’Istituto del Verbo Incarnato, situata a Lipa, nelle Filippine, è intitolata a lei.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agata Lin Zhao, pregate per noi.
*Santi Agata Lin Zhao, Gerolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing - Martiri (28 Gennaio)
Scheda del gruppo a cui appartengono: Santi Martiri Cinesi (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)
+ Maokou, Cina, 28 gennaio 1858
Questi tre laici cattolici cinesi sono stati canonizzati il 1° ottobre 2000 da Papa Giovanni Paolo II.
Martirologio Romano: Nella città di Maokou nella provincia del Guizhou in Cina, Santi Martiri Agata Lin Zhao, Vergine, Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing:
Catechisti, furono denunciati come cristiani sotto l’imperatore Wenzongxian e infine decapitati.
Agata Lin-Tchao nacque nel 1817, mentre il padre era in carcere per la fede cristiana.
Si diede durante la giovinezza allo studio della religione cristiana per essere una valente catechista.
Fu diretta spiritualmente per un certo tempo dal Beato Augusto Capdelaine delle Missioni Estere di Parigi, morto martire nel 1856.
Insegnò il catechismo nel villaggio di Ta-pa-tien fino a quando il vicario apostolico Albrand allargò il suo campo di apostolato conferendole lo stesso incarico per varie altre località.
Condusse alla conversione molte persone.
Mentre era ospite del catechista Girolamo Lou-tinmey, nel villaggio di Mao-Keou, ricevette con lui il martirio il 28 gennaio 1858 e fu beatificata sotto San Pio X il 2 maggio 1909.
(Autore: Giovanni Battista Proja - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Agata Lin Zhao, Gerolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing, pregate per noi.
*Beato Angelo da Canosa - Francescano (28 Gennaio)
† 1452
Il Beato Angelo da Canosa è un francescano vissuto nella prima metà del quindicesimo secolo. Lo si definisce confessore, ed uomo che visse all’insegna dell’innocenza e della perfezione celeste.
Alfonso Germinario in un suo articolo c’informa di aver trovato un manoscritto a Roma dove si parla proprio di questo giovane frate.
"Il Beato Angelo di Canosa, laico dell’ordine Francescano, di virtù ricchissimo e dotato di singolar candore e di costumi, riposa nel convento di Capestrano della provincia di San Bernardino e di cui fa menzione il Martirologio Francescano".
Anche nel volume sulle opere spirituali di Mons. Paolo Regio, si parla di lui: "Nella chiesa di S. Maria di Capistrano, giace il Fr. Agnolo di Canosa Singolar unico della povertà et opera miracoli".
La tradizione ci tramanda come anno della sua morte il 1452.
La sua santità è testimoniata da un primo fatto miracoloso alla sua morte. Infatti, durante il suo funerale un malato toccò la sua bara e immediatamente guarì.
Nel martirologio francescano è ricordato con queste parole: "Capistrani in Aprutio, Beati Angeli a Canusio laici et confessoris, summae innocentiae et perfetionis viri".
Nello stesso testo si ricorda la celebrazione della sua festa nel giorno 28 gennaio.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Angelo da Canosa, pregate per noi.
*Beato Antonio da Burgos - Francescano (28 Gennaio)
† 28 gennaio 1342
Il Beato Antonio da Burgos è un converso francescano che visse bel XIV secolo. La tradizione ci tramanda che fu un francescano che esercitò gli umili uffici di questuante, portinaio e cuoco.
É unanime ritenere che morì il 28 gennaio 1342.
Nel Martirologio francescano è ricordata la sua festa alla data del 28 gennaio.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio da Burgos, pregate per noi.
*Beato Bartolomeo Aiutamicristo da Pisa - Religioso Camaldolese (28 Gennaio)
m. Pisa, 28 gennaio 1224
Il Beato Bartolomeo Aiutamicristo, Monaco Camaldolese, proveniva da una antica e mobilissima famiglia pisana.
Fu però reso ancor più illustre dalla santità di vita, confermata da strepitosi miracoli verificatisi in vita e dopo la sua morte.
Quest’ultima lo colse il 28 gennaio 1224 ed in tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.
Martirologio Romano: Presso San Frediano vicino a Pisa, Beato Bartolomeo Aiutamicristo, Religioso dell’Ordine dei Camaldolesi.
Nato a Pisa in un anno sconosciuto dalla nobile famiglia pisana degli Aiutamicristo, Bartolomeo entrò come fratello converso nel monastero camaldolese di San Frediano, dove morì il 28 gennaio 1224, dopo una vita ricca di numerosi miracoli, continuati anche dopo la morte.
Il corpo di Bartolomeo fu sepolto nella chiesa del monastero, sotto un altare eretto in suo onore dai concittadini; in seguito, per favorirne la venerazione, esso fu collocato sotto l'altare maggiore.
L'incendio del 1675 danneggiò gravemente tutto l'edificio sacro, bruciando quasi per intero anche il venerato corpo di Bartolomeo, fino allora incorrotto.
I pochi frammenti rimasti furono esposti nella sacrestia.
Pio IX nel 1857 confermò il suo culto e lo estese all'Ordine Camaldolese e all'arcidiocesi pisana.
La festa liturgica si celebra il 12 aprile.
*San Carlomagno - Imperatore (28 Gennaio)
742 - 28 gennaio 814
Patronato: Scuole francesi
Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada, Modellino.
La canonizzazione di Carlomagno nel 1165 da parte dell'antipapa Pasquale III non è che un momento dello straordinario destino postumo dell'imperatore d'Occidente.
Qui si ricorderà brevemente ciò che, nella sua vita e nella sua opera, ha fornito occasione a un culto in alcune regioni cristiane.
Nato nel 742, primogenito di Pipino il Breve, gli succedette il 24 settembre 768 come sovrano d'una parte del regno dei Franchi, divenendo unico Re alla morte (771) del fratello Carlomanno.
Chiamato in aiuto dal Papa Adriano I, scese in Italia, contro Desiderio, re dei Longobardi, nell'aprile 774. In cambio d'una promessa di donazione di territori italiani al sommo pontefice, riceve il titolo di re dei Longobardi quando lo sconfitto Desiderio fu rinchiuso nel monastero di Corbie.
Nel 777 iniziò una serie di campagne per la sottomissione e l'evangelizzazione dei Sassoni, capeggiati da Vitichindo.
Dopo una cerimonia di Battesimo collettivo a Paderborn, la rivalsa dei vinti fu soffocata, nelle campagne del 782-85, con tremendi massacri, fra i quali quello di molte migliaia di prigionieri a Werden. Spintosi oltre i Pirenei, nella futura Marca di Spagna, Carlomagno subì nel '778 un grave rovescio a Roncisvalle.
Nelle successive discese in Italia (781 e 787) stabilì legami con l'Impero d'Oriente (fidanzamento di sua figlia Rotrude col giovane Costantino VI), e s'inserì sempre più a fondo, attraverso i missi carolingi, nella vita di Roma.
Consacrato re d'Italia e spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l'opera iniziata dal padre col concorso di San Bonifacio.
Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l'impulso dei chierici e dei proceres ecclesiastici e, soprattutto, di Alcuino e di Teodulfo d'Orleans.
La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlomagno in materia di politica religiosa, richiamandosi all'esempio biblico del Re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per far regnare ed esaltare la sua legge.
Nascono da questa esigenza il rinascimento degli studi, la revisione del testo delle Scritture operata da Alcuino, la costituzione dell'omeliario di Paolo Diacono.
Al concilio di Francoforte del 794, Carlomagno si erge di fronte a Bisanzio come il legittimo crede degli imperatori d'Occidente, promotori di concili e guardiani della fede.
Non è un caso che i testi relativi alla disputa delle immagini (Libri Carolini), benché redatti da Alcuino o da Teodulfo, portino il nome di Carlomagno.
Pertanto, l'incoronazione imperiale del giorno di Natale dell'anno 800 non fu che il coronamento d'una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere, sollecitando la protezione del sovrano e accettandolo, nella persona di Leone III, come giudice delle sue controversie.
Ma Carlomagno (come mostrano le origini della disputa sul “Filioque”) estese la sua influenza fino alla Palestina.
La sua sollecitudine per il restauro delle chiese di Gerusalemme e dei luoghi santi mediante questue (prescritte in un capitolare dell'810) gli valse più tardi il titolo di primo dei crociati.
Del patronato esercitato sulla Chiesa dalla forte personalità di Carlomagno restano monumenti documentari ed encomiastici negli “Annales”, che ricordano i concili da lui presieduti, le chiese e i monasteri da lui fondati.
La vita privata di Carlomagno fu obiettivamente deplorevole. E non si possono certo dimenticare due ripudi e molti concubinati, né i massacri giustificati dalla sola vendetta o la tolleranza per la libertà dei costumi di corte.
Non mancano, tuttavia, indizi di una sensibilità di Carlomagno per la colpa, in tempi piuttosto grossolani e corrotti.
Il suo biografo Eginardo informa che Carlomagno non apprezzava punto i giovani, sebbene li praticasse, e, per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all'esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro.
Cosi, quando mori ad Aquisgrana il 28 gennaio 814, Carlomagno lasciò dietro di sé il ricordo di molti meriti che la posterità si incaricò di glorificare. La valorizzazione del prestigio di Carlomagno assunse il carattere di un'operazione politica durante la lotta delle Investiture e il conflitto fra il Sacerdozio e l'Impero.
La prima cura di Ottone I, nel farsi consacrare ad Aquisgrana (962), fu quella di ripristinare la tradizione carolingia per servirsene.
Nell'anno 1000, Ottone III scopri ad Aquisgrana il corpo di Carlomagno in circostanze in cui l'immaginazione poteva facilmente sbrigliarsi.
Nel sec. XI, mentre Gregorio VII scorgeva nell'incoronazione imperiale di Carlomagno la ricompensa dei servigi da lui resi alla cristianità, gli Enriciani esaltarono il patronato esercitato dall'imperatore sulla Chiesa.
Quando l'impero divenne oggetto di competizione fra principi germanici, Federico I, invocando gli esempi della canonizzazione di Enrico II (1146), di Edoardo il Confessore (1161), di Canuto di Danimarca (1165), pretese e ottenne dall'antipapa Pasquale III la canonizzazione di Carlomagno col rito dell'elevazione agli altari (29 dic. 1165).
Egli pensò di gettare in tal modo discredito su Alessandro III, che gli rifiutava l'impero, e, insieme, sui Capetingi che lo pretendevano.
E se più tardi Filippo Augusto, vincitore di Federico II a Bouvines nel 1214, si richiamò alle analoghe vittorie di Carlomagno sui Sassoni, lo stesso Federico II si fece incoronare ad Aquisgrana il 25 luglio 1215 e dispose, due giorni dopo, una solenne traslazione delle reliquie di Carlomagno.
Intanto Innocenzo III, risoluto sostenitore della teoria delle “due spade”, ricordava che è il papa che eleva all'impero e dipingeva Carlomagno come uno strumento passivo della traslazione dell'impero da Oriente a Occidente. La grande figura di Carlomagno venne piegata a interpretazioni opposte almeno fino all'elezione di Carlo V.
Ma a parte le utilizzazioni politiche contrastanti, il culto di Carlomagno appare ben radicato nella tradizione letteraria e nell'iconografia. Il tono agiografico è già evidente nei racconti di Eginardo e del monaco di San Gallo di poco posteriori alla morte dell'imperatore.
Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, iscrive Carlomagno nel suo Martirologio. La leggenda di Carlomagno è soprattutto abbellita dagli aspetti missionari della sua vita.
A Gerusalemme, la chiesa di Santa Maria Latina conservava il suo ricordo. Alla fine del sec. X si credeva che l'imperatore si fosse recato in Terrasanta in pellegrinaggio. Urbano II, nel 1095, esaltava la sua memoria davanti ai primi crociati.
Nel 1100 l'avventura transpirenaica dei paladini si trasfigurò in crociata, attraverso l'interpretazione della Chanson de Roland.
Ognuno ricorda la frequenza di interventi soprannaturali nelle “chansons de gestes”: Carlomagno è assistito dall'angelo Gabriele; Dio gli parla in sogno; simile a Giosué, egli arresta il sole; benché il suo esercito formicoli di chierici, benedice o assolve lui. stesso i combattenti, ecc.
Dal sec. XII al XV si moltiplicano le testimonianze di un culto effettivo di C., connesse da un lato con la fedeltà delle fondazioni carolingie alla memoria del fondatore, dall'altro con l'atteggiamento dei vescovi verso gli Staufen, principali promotori del culto imperiale.
A Strasburgo si trova un altare prima del 1175, a Osnabruck e ad Aquisgrana prima del 1200.
Nel 1215, in seguito alla consacrazione di Federico II e alle cerimonie che l'accompagnarono, si stabilirono due festività: il 28 genn. (data della morte di C.), festa solenne con ottava, e il 29 dic., festa della traslazione.
Roma rispose istituendo la festa antimperiale di San Tommaso Becket, campione della Chiesa di fronte al potere politico; ma nel 1226 il cardinale Giovanni di Porto consacrò ufficialmente ad Aquisgrana un altare “in honorem sanctorum apostolorum et beati Karoli regis”.
A Ratisbona, il monastero di S. Emmerano e quello di S. Pietro, occupato dagli Irlandesi, adottarono, nonostante l'estraneità dell'episcopato, il culto di Carlomagno che, secondo M. Folz, si andò estendendo in un’area esagonale con densità più forti nelle regioni di Treviri, di Fulda, di Norimberga e di Lorsch.
Nel 1354, Carlo IV fondò presso Magonza, nell'Ingelheim, un oratorio in onore del S. Salvatore e dei beati Venceslao e Carlomagno.
Toccato l'apogeo nel sec. XV, il culto di Carlomagno non fu abolito neppure dalla Riforma, tanto da sopravvivere fino al sec. XVIII in una prospettiva politica, presso i Febroniani.
In Francia, nel sec. XIII, una confraternita di Roncisvalle si stabilì a San Giacomo della Boucherie.
Carlo V (1364-80) fece di Carlomagno un protettore della casa di Francia alla pari di San Luigi, e ne portò sullo scettro l'effigie con l'iscrizione “Sanctus Karolus Magnus”.
Nel 1471, Luigi XI estese a tutta la Francia la celebrazione della festa di Carlomagno il 28 gennaio.
Nel 1478, Carlomagno fu scelto come patrono della confraternita dei messaggeri dell'università e, dal 1487, fu festeggiato come protettore degli scolari (nel collegio di Navarra si celebrò fino al 1765, il 28 gennaio, una Messa con panegirico).
Per queste ragioni il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò nel caso di Carlomagno un tipico esempio di equivalenza fra una venerazione tradizionale e una regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4).
Oggi il culto di Carlomagno si celebra solo ad Aachen, con rito doppio di prima classe, il 28 gennaio con ottava; la solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di Sant'Anna. A Metten ed a Múnster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della Santa Congregazione dei Riti.
(Autore: Gerard Mathon - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Carlomagno, pregate per noi.
*Sant'Emiliano di Trevi - Vescovo (28 Gennaio)
Noto anche con il nome di Miliano venne a Spoleto dall'Armenia alla fine del terzo secolo. Consacrato Vescovo da Papa Marcellino, fu inviato a Trevi dove già esisteva una comunità cristiana evangelizzata, ormai da un secolo, da Feliciano vescovo di Foligno.
Fu messo a morte sotto l'imperatore Diocleziano il 28 gennaio del 304, insieme a tre suoi compagni, dopo innumerevoli supplizi invano inflittigli per indurlo ad abiurare.
Fu decapitato a tre chilometri da Trevi, in località Bovara, zona sacra per i pagani, legato ad una pianta di olivo (albero monumentale ancora esistente).
Oggi è patrono di Trevi, di cui fu il primo Vescovo.
Le reliquie, di cui non si aveva più memoria, vennero rinvenute nel 1660 durante l'esecuzione di lavori nel duomo di Spoleto, forse trafugate a seguito di oscuri episodi nel Medioevo.
Ora sono conservate nella chiesa sul punto più alto dell'abitato di Trevi. (Avvenire)
Emiliano - ma sarebbe più corretto chiamarlo Miliano, come viene citato nei più antichi documenti e come viene ancora chiamato correntemente in Trevi – venne a Spoleto dall’Armenia alla fine del IIIsec.
Consacrato vescovo da Papa Marcellino, fu inviato a Trevi dove già esisteva una comunità cristiana evangelizzata, ormai da un secolo, da Feliciano vescovo di Foligno.
Fu messo a morte sotto l’imperatore Diocleziano il 28 di gennaio del 304, insieme a tre suoi compagni, dopo innumerevoli supplizi invano inflittigli per indurlo ad abiurare. Fu decapitato a tre chilometri da Trevi, in località Bovara, zona sacra per i pagani, legato ad una pianta di olivo ( albero monumentale ancora esistente).
Patrono della città e del comune di Trevi, di cui fu il primo Vescovo, è oggetto di culto e di grande venerazione da 17 secoli.
Il martirio e la morte sono minuziosamente descritti nella "Passio Sancti Miliani". Ne esistono due codici, uno del IX secolo a Montecassino e uno del XII secolo nell'archivio del duomo di Spoleto. Si ritiene che siano copie di un altro documento più antico, del V o VI secolo.
Nel racconto della sua passione sono narrati episodi del martirio che fanno esplicito riferimento ad importanti elementi del territorio evidenziando quanto indissolubilmente la figura del Partono sia legata alla stessa Trevi.
Le reliquie, di cui non si aveva più memoria, vennero rinvenute nel 1660 durante l’esecuzione di lavori nel duomo di Spoleto, forse trafugate a seguito di oscuri episodi delle feroci lotte medievali. Ora sono conservate nella chiesa, al Santo intitolata da sempre, sul punto più alto dell’abitato di Trevi.
La festa, celebrata da tempi remotissimi, in antico era molto più solenne, contornata da numerose manifestazioni sacre e profane, venendo a cadere agli inizi del carnevale.
La cerimonia più significativa è la straordinaria processione notturna, detta “dell’Illuminata”, la sera della vigilia (27 gennaio). È una delle più antiche manifestazioni “in tempo reale” risalente all’alto medioevo o addirittura al tardo antico. Vi prendevano parte, oltre al clero secolare e agli ordini regolari, le autorità e le rappresentanze delle varie arti e corporazioni medievali, sostituite ora dalle varie attività industriali, artigianali e commerciali del comune. Segue un percorso inalterato da oltre sette secoli, poiché ricalca il giro interno della mura antiche, non tenendo conto degli ampliamenti successivi al 1264.
Oltre che a Trevi, Sant' Emiliano armeno è venerato a Ripa di Perugia ove si celebra la festa nella domenica più prossima al 28 gennaio.
(Autore: Franco Spellani - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Emiliano di Trevi, pregate per noi.
*Beata Gentile Giusti (Madre) e Margherita Molli (28 Gennaio)
Ravenna, 1471 – 28 gennaio 1530
Etimologia: Gentile = cortese, nobile di comportamento, dal latino
Le notizie sulla Beata Gentile Giusti e della sua maestra spirituale e parente, Margherita Molli, ci sono pervenute stampate nell’edizione del 1535, di una “Vita di due Beatissime Donne, Margarita et Gentile”, compilata su notizie in parte ricevute dalla stessa Gentile Giusti, per quanto riguardava Margherita Molli e dal sacerdote Girolamo Maluselli per quanto riguardava Gentile, dal Canonico Regolare Lateranense (Agostiniano) padre Serafino Acuti de’ Porti da Fermo (1496-1540), quindi loro contemporaneo.
A completezza di queste notizie si aggiunge, che di questa edizione non esiste oggi nessun esemplare, ma solo una copia manoscritta di detta stampa, nell’Archivio Arcipretale di Sant’ Apollinare in Russi (Ravenna). Successivi studi agiografici, si rifanno a quest’iniziale fonte editoriale.
Gentile Giusti, figlia di Tommaso Giusti di Verona e di Domenica Orioli di Russi, nacque a Ravenna nel 1471; già negli anni della fanciullezza frequentò la casa della sua parente, probabilmente cugina, la beata Margherita Molli (1442-1505) di Russi, laica penitente, mistica, cieca, rimanendo ammirata dalle sue straordinarie virtù e dalla sua fede, diventandone una discepola.
Verso il 1496 si sposò con un sarto veneziano Giacomo, soprannominato Pianella; dalla loro unione nacquero due figli, uno morì a sei anni, l’altro di nome Leone, divenne sacerdote e morì due anni prima della madre nel 1528.
Il matrimonio non ebbe un esito felice, a causa dei maltrattamenti ricevuti dall’irascibile e vizioso marito, che giunse perfino a denunziarla come strega, perché si dedicava troppo alla preghiera.
Ma il Vicario del vescovo, recatosi con lui alla sua casa, poté constatare l’infondatezza delle accuse, con un approfondito colloquio con Gentile; il marito mosso dalla disperazione se ne andò a Padova, abbandonandola in quel tempo di carestia, in grande povertà.
Qui cominciarono a vedersi i segni della Provvidenza, che prodigiosamente non le faceva mancare il sostentamento necessario; dopo molti anni, il marito ritornò a casa e costatato la divina assistenza verso di lei, cambiò opinione nei suoi riguardi, pentendosi anche per le preghiere della stessa moglie e morì poi nel 1511.
Nella sua vedovanza si dedicò alle attività caritative, curando gli infermi, svolgendo opera pacificatrice nelle famiglie divise da contrasti interni. Fu presente nell’aiutare gli ammalati, durante la peste che imperversò a Ravenna; come la sua maestra Margherita, anche a lei ricorrevano le persone bisognose di consiglio o di essere liberate dai loro affanni.
Lo stesso padre Girolamo Maluselli, raccontò all’autore della ‘Vita’, che egli si trovava lontano da Dio e non si confessava da quattro anni, saputo della fama di questa devota vedova, andò a trovarla e a lei si confidò, ascoltando i suoi ammaestramenti, per cui andò a confessarsi e sentendo in sé una nuova speranza, lasciò tutti gli affetti terreni, per trasferirsi al servizio di Dio come sacerdote.
Gentile Giusti ebbe anche il dono della profezia e quello di operare guarigioni prodigiose; morì santamente a Ravenna il 28 gennaio 1530 e già nel 1537, papa Paolo III autorizzò un processo sui miracoli attribuiti alla sua intercessione e a quella di Margherita Molli.
Coadiuvò alla trasformazione della ‘Confraternita del Buon Gesù’, dopo la morte della fondatrice Margherita Molli, in ‘Congregazione dei Preti del Buon Gesù’, insieme al condiscepolo Girolamo Maluselli, approvata poi da Papa Paolo III nel 1538 e soppressa da Innocenzo X nel 1651 e la cui attività fu molto attiva a Ravenna e in Romagna.
Le sue reliquie nel 1659, furono unite a quelle della Beata Margherita Molli, nella chiesa del Buon Gesù di Ravenna e dopo altre traslazioni le reliquie delle due Beate parenti, riposano nella Chiesa Arcipretale di Sant' Apollinare in Russi (Ravenna). Il culto è di origine popolare e la loro celebrazione si ha nell’ultima domenica di Gennaio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Gentile di nome e di fatto, viene data in sposa ad un uomo che gentile non è affatto. Figlia di un orafo veronese, si sposa giovanissima con un sarto di Ravenna, tal Giacomo soprannominato Pianella: non tanto per amore, quanto per convenienza, sulla base della quale i genitori (siamo nella seconda metà del Quattrocento) combinavano i matrimoni, spesso all’insaputa dei figli.
E il sarto Giacomo era sicuramente un “buon partito”, visto il buon mestiere e la gran clientela che aveva. Grossolano, poco sensibile e per niente religioso, Giacomo si dimostra l’esatto contrario di Gentile, che per natura è sensibilissima, molto devota e assai delicata. Così il suo non lo si può certo definire un matrimonio felice: maltrattata e derisa dal suo uomo, Gentile avrebbe più di un motivo per mandare all’aria un matrimonio che, di fatto, è basato più che altro sull’interesse.
Ad un certo punto c’è addirittura l’abbandono del tetto coniugale, perchè Giacomo se ne va di casa e si trasferisce a Padova, lasciandola sola con due bimbi da allevare.
Dicono abbia fatto le valigie per vergogna, perché, dopo aver denunciato la moglie per stregoneria, il Vescovo di Ravenna in persona ha riconosciuto l’assoluta limpidezza, correttezza e religiosità di Gentile.
Giacomo torna a casa quando gli fa comodo, parecchi anni dopo, e trova una moglie che nonostante tutto gli è stata fedele, ha allevato i figli (anche se uno è morto giovanissimo), ha continuato a pregare per la sua conversione. E avviene il miracolo della ritrovata unità familiare, con il cambiamento radicale dello suo stile di vita, grazie all’esempio della moglie che non ha mai cessato di amarlo. Giacomo muore poco dopo e Gentile, specializzatasi in pazienza, sopportazione e fedeltà, continua ad offrire il suo esempio di vedova dedita agli altri.
Sembra che la sua missione specifica sia davvero quella di rendere migliore gli uomini che incontra: ne sa qualcosa Girolamo Maluselli, miscredente e violento, che dopo essersi confidato con lei ed aver ascoltato i suoi consigli, cambia vita e diventa sacerdote. Anche Leone, l’unico figlio rimastole e su cui Gentile riversa il suo affetto perché non segua l’esempio del padre, cambia vita e diventa sacerdote.
Gentile, da parte sua, si ispira al modello di vita che le offre una sua lontana parente, Margherita, cieca e malandata per le aspre penitenze che si infligge. Ha rinunciato a tutti i suoi beni per donarli ai poveri, vive dell’altrui elemosina, prega e insegna il catechismo alle ragazze, è consultata da tutti perché ha il dono della profezia e con il suo esempio richiama i peccatori a conversione.
Le sue preghiere sono particolarmente orientate verso l’unità dei cristiani e fonda la Confraternita del Buon Gesù, che si trasformerà in seguito nella “Congregazione dei Preti del Buon Gesù”.
Margherita Molli muore il 23 gennaio 1505, Gentile Giusti il 28 gennaio 1530, ma ancora oggi, il paese di Russi e la zona di Ravenna riservano l’ultima domenica di gennaio per festeggiare insieme le due cugine, che dopo aver condiviso ideali e progetti di vita cristiana, riposano insieme in un’unica urna, circondate da una vivissima devozione.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Gentile Giusti e Margherita Molli, pregate per noi.
*San Giacomo - Eremita in Palestina (28 Gennaio)
Sec. IV
Martirologio Romano: Commemorazione di San Giacomo, eremita in Palestina, che per penitenza si rinchiuse a lungo in un sepolcro.
Probabilmente nativo di Hefa (oggi Haifa), si ritirò a vita eremitica sul monte Carmelo.
La Vita di questo asceta palestinese che ci è giunta presenta molti elementi romanzeschi e in alcuni particolari riflette la conflittualità che caratterizzava i rapporti tra la comunità cristiana e quella samaritana della regione del Carmelo intorno al IV secolo.
É commemorato il 28 gennaio.
(Autore: Paola Cristofari – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giacomo, pregate per noi.
*Beato Giovanni de Medina - Mercedario (28 Gennaio)
Insigne Dottore in Sacra Teologia, il Beato Giovanni de Medina, fu un mercedario zelantissimo nella carità e di grandi virtù.
Inviato a redimere in Africa, liberò 259 schiavi dalle mani dei mori, ponendo fine alla loro disperata e dura prigionia.
L’Ordine lo festeggia il 28 gennaio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni de Medina, pregate per noi.
*San Giovanni di Reome - Abate (28 Gennaio)
Martirologio Romano:
Nel monastero di Réom presso Langres nel territorio della Neustria, in Francia, San Giovanni, sacerdote, uomo a Dio sottomesso, che radunò dei monaci sotto la regola di San Macario.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni di Reome, pregate per noi.
*San Girolamo Lu Tingmei - Catechista e Martire (28 Gennaio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Santi Martiri Cinesi" (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)
Langtai, Guizhou, Cina, 1811 – Maokou, Cina, 28 gennaio 1858
Martirologio Romano: Nella città di Maokou nella provincia del Guizhou in Cina, santi martiri Agata Lin Zhao, vergine, Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing: catechisti, furono denunciati come cristiani sotto l’imperatore Wenzongxian e infine decapitati.
Lu Tingmei nacque nella contea di Langtai, nella provincia del Guizhou, nel 1811. Era il più anziano dei quattro figli di una famiglia benestante.
Non era dotato solo di un fisico robusto, ma anche di un’intelligenza vivida, che gli permise di prendere il posto del padre, insegnante, quando lui andò in pensione.
Era così stimato e rispettato che il magistrato del luogo ricorreva spesso ai suoi consigli, per via della sua vasta saggezza e conoscenza. Si sposò ed ebbe due figli e una figlia.
A trentotto anni divenne un membro della setta religiosa Quinshui.
Solo quattro anni dopo, a seguito della lettura di alcuni libri presi in prestito da un certo Paolo Yang sugli insegnamenti della Chiesa Cattolica, riconobbe di aver compiuto una scelta sbagliata.
Divenne un discepolo così zelante da condurre alla fede anche suo padre, sua sorella e alcuni amici.
Nel 1853 ricevette i sacramenti del Battesimo e della Confermazione da padre Tommaso Luo e assunse il nome di Girolamo.
Dopo la morte di sua moglie, iniziò a vivere una vita austera e continuò la sua attività per la conversione dei suoi compaesani. Nel 1854 venne falsamente accusato di tradimento e patì numerose torture. L’anno dopo, offese alcuni dei suoi parenti stretti ipotizzando di costruire un luogo dove insegnare la fede cattolica. A cercare di dargli man forte giunse il missionario laico Lorenzo Wang Bing, in fuga perché falsamente accusato.
I due decisero di costruire un luogo dove predicare e fare catechismo, ossia una chiesa o cappella: Lorenzo voleva erigerla dietro il villaggio, mentre Girolamo preferiva uno spazio vuoto, accanto al tempio degli antenati; alla fine il suo parere prevalse.
Uno zio non cristiano di Girolamo, Lu Sankong, e un cugino, Lu Kuepa, furono scontenti di quel progetto e decisero di contrastarlo con tutti i mezzi possibili, anche se l’autorità del loro parente era tale da non permettere nessuna opposizione aperta. Un altro zio, Lu Wenzai, aveva avuto un vago desiderio di farsi cristiano e aveva chiesto al nipote alcuni chiarimenti sulla dottrina, ma cambiò idea così radicalmente da diventare un persecutore dei neofiti.
Per attuare il loro piano, attesero cinque giorni dall’inizio dei lavori di costruzione, poi, in segreto, riferirono ad alcuni soldati che un predicatore della religione cristiana, insieme ad alcuni compagni, voleva costruire un luogo di preghiera che sarebbe diventato più bello del tempio degli antenati.
I soldati ritennero che l’affare meritasse considerazione, così introdussero gli accusatori al funzionario che faceva da intermediario fra il popolo e il mandarino Tai Lu Che.
Costui li indirizzò al suo superiore, che prima mandò due sottoposti a controllare la situazione a Maokou, poi vi si diresse personalmente. Dopo essersi consultato insieme ai capi del villaggio, il mandarino ordinò a tre soldati di prelevare Lorenzo e Girolamo.
Il 13 dicembre 1857, al momento dell’arresto, i due catechisti, insieme ad altri compagni, erano radunati per le preghiere della sera. Quando i soldati fecero loro cenno di seguirli, Girolamo prese con sé un opuscolo che conteneva il testo del trattato di tolleranza stipulato nel 1846 e due libricini cristiani, supponendo che sarebbe comparso davanti al mandarino.
Appena i due giunsero davanti a Tai Lu Che, egli iniziò l’interrogatorio, che qui traduciamo dagli Annali delle Missioni Estere di Parigi.
«Come vi chiamate?».
«Il mio nome è Lu».
«A quale setta appartenete?».
«Alla religione del Signore del Cielo».
«Qual è questa religione del Signore del Cielo?».
«Il Signore del Cielo è colui del quale sta scritto, nei libri cinesi: “Fate molta attenzione a colui che non vedete e temete colui che non sentite”. In effetti, la religione che io pratico è la religione antica, naturale, dei letterati, quella che professarono Confucio e Lao Tse».
«Dite più chiaramente, cos’è Dio?».
«Dio è Signore e Creatore del cielo e della terra e di tutti gli esseri; nei quattro libri lo si chiama Re Altissimo; ecco perché l’adoro».
«Voi sragionate davvero. Dato che siete un uomo intelligente, perché non m’imitate e diventate prefetto? Al mondo esistono solo tre religioni: quella delle lettere, per diventare perfetti; quella dei lavoratori, per avere di che mangiare; quella dei commercianti. Al di fuori di queste tre religioni, come credete che possa esistere una religione del Signore del Cielo? Non vedete che è stolto e stupido? Non sapete che un uomo è generato da un altro uomo, un animale da un altro animale, e che è così nella natura intera? Come dunque affermate che tutto è stato creato da Dio? Voi non avete un maestro?».
«Io non ho alcun maestro, leggo i libri cristiani da solo; da parte mia, ho esaminato con cura la loro dottrina e da me stesso ho praticato questa religione; non ho mai avuto nessun maestro».
«Vi volete ritirare o volete essere punito?».
«Se voi volete punirmi, mi piegherò; se volete che io mi ritiri, non posso».
«Vostro padre e vostra madre sono ancora vivi?».
«I miei genitori vivono ancora, hanno già ottanta anni. Noi siamo quattro fratelli e sorelle, separati da più di dieci anni; ciascuno, a turno, fornisce ai nostri genitori il cibo e quanto è necessario per vivere».
«Siete separato dai vostri fratelli e i vostri genitori chiedono a ciascuno di voi nutrimento come farebbero dei mendicanti? Avete dimenticato dunque gli otto precetti, ossia la pietà verso i genitori, l’amicizia fraterna, la fedeltà verso il principe, la sincerità verso gli amici, l’onestà verso i concittadini, la giustizia, la moderazione e il riserbo nelle conversazioni; meritate una condanna. Inoltre, questa religione del Signore del cielo e i suoi libri non sono del nostro Imperatore, è la religione dei regni stranieri; perché dunque l’avete abbracciata? Infine, voi avete un maestro? Se sinceramente mi direte il suo nome, vi risparmierò».
Girolamo ribadì:
«Ho comprato da solo dei libri e, leggendoli, ho compreso con chiarezza la verità di questa dottrina; allora l’ho seguita da me stesso. Affermo che non ho avuto alcun maestro per istruirmi».
«Ho pietà di voi e spero che vi migliorerete e che diventerete un uomo onesto. Tornate a casa vostra e riflettete per bene».
Dopo che anche Lorenzo fu interrogato e, insieme al compagno, venne scortato dalle guardie alla città di Guiyang, il mandarino commentò: «È spiacevole che questo Lu Tingmei, dotato di una così grande conoscenza, sia diventato adepto di una tale setta, perché non abbiamo speranza che acconsenta a lasciarla».
Terminato il processo, Girolamo condusse Lorenzo a casa sua, dove la moglie e i figli l’aspettavano con impazienza. Dopo un breve racconto dell’accaduto, disse ai figli:
«Penso che domani dovrò subire un nuovo interrogatorio. Tu, A Kao, e tu, A Mien, abbiate cura di onorare vostra madre e di non causarle alcun dispiacere. Siate laboriosi, lavorate nei campi. Ricevete il denaro che ci è dovuto, prendetelo se i debitori ve lo rendono volentieri, non forzate quelli che rifiuteranno o anche quelli che mostreranno una volontà contraria. Anzitutto, siate ferventi; recitate fedelmente ogni giorno le preghiere del mattino e della sera».
Rivolgendosi in particolare al figlio A Kao continuò:
«Non allarmatevi; forse sarò trattato come a Yun-lin-chu; se domani il mandarino mi condurrà a Lang-tai-tin, vi andrete per vedere quello che mi capiterà. Nel frattempo, ripeto, non temete nulla, anche se morissi molte volte, non bisogna piangere per me».
A sua madre, invece, disse:
«Madre, la persecuzione è iniziata; è una buona cosa, è la migliore. Accettiamo la nostra sorte, no domandiamo che essa cambi. Perciò, non aver paura».
Di seguito, si diresse con Lorenzo presso il luogo dov’era ospitata Agata Lin Zhao, una vergine che aveva educato numerose fanciulle in una scuola femminile. Sebbene anche lei fosse in pericolo di vita, incoraggiò i suoi compagni di fede.
Tornato a casa, Girolamo affermò davanti ai suoi:
«Forse presto morirò per Dio; tutta la mia fiducia è in lui».
Dopo una leggera cena, i membri della famiglia andarono a riposare, mentre Girolamo e Lorenzo, rimasti soli, vegliarono in preghiera. Avrebbero potuto fuggire durante la notte, ma preferirono restare, per evitare alla nascente comunità cristiana una persecuzione che l’avrebbe distrutta. Speravano, quindi, che la loro vita sarebbe bastata per assicurare la pace e procurare ai neofiti la libertà religiosa.
Nel frattempo, il mandarino era indeciso se condannare i due o meno, ma le insinuazioni dello zio di Girolamo lo fecero decidere per la pena capitale: affermò, infatti, che la religione che professava era cattiva e bisognava punirne i capi per dare un esempio. Dato che il funzionario non voleva che i suoi soldati fungessero da boia, i persecutori cercarono fra la popolazione di Maokou tre persone che compissero l’incarico.
Il luogo dell’esecuzione venne fissato sulle rive del fiume Ou. Vennero piantate quattro bandiere: due nere col bordo rosso e due bianche bordate di blu. I carnefici, in tutta tranquillità, si misero ad affilare le loro spade contro delle pietre.
Fra le sette e le otto del mattino del 14 dicembre, poco dopo che ebbero terminato la preghiera del mattino recitata in comune, Lorenzo e Girolamo seguirono i soldati che li avevano fatti chiamare su ordine di Tai Lu Che, presso l’albergo dove lui era alloggiato. Si prostrarono davanti al mandarino, poi rimasero in ginocchio; Lorenzo si trovava a sinistra del compagno. Il primo a essere interrogato fu Girolamo:
«Perché non avete abbracciato la religione dei letterati? Sulla terra, ci sono numerose religioni: la religione dei buoi, la religione dei cavalli e la religione degli uomini. Siete un uomo, seguite dunque la religione degli uomini, cioè la religione dei letterati che è la sola vera. Lu Tingmei, come avete potuto credere alle parole ingannatrici e bugiarde? Come avete potuto essere ingannato a tal punto che, voi siete giunto non solo a seguire questa religione, ma anche a propagarla? Io credo che voi non abbiate fatto cose molto gravi e nocive alla pace pubblica. Pertanto siete un uomo raccomandabile per i vostri studi letterari, e vi siete lasciati ingannare! Certamente ne avete già sofferto e fate soffrire gli altri, dato che trascurate gli affari pubblici. Non vi pentite della vostra adesione a questa religione? Davvero, non vi pentite? Non volete ormai occuparvi degli affari pubblici, come prima, per essere utili a tutti? Se mi rispondete affermativamente vi prometto la grazia, vi restituirò la libertà».
In quella circostanza, che avrebbe deciso della sua vita, Girolamo dimostrò una volta di più le sue capacità di catechista. Con voce chiara e toni semplici, pronunciò un’appassionata difesa della fede cattolica:
«Come posso pentirmi di aver abbracciato la santa religione che pratico! È buona, è la migliore. Questo cielo materiale non esisteva ancora, questa terra non era ancora stata creata e questa religione esisteva già. Il suo culto si riferisce al Principio supremo e primo fra gli esseri, che è un puro spirito.
Prima di abbracciare questa religione, l’ho confrontata con la storia universale [contenuta in un libro fatto pubblicare dalle autorità]. Da questo confronto emergono la sua verità e la sua eccellenza. È davvero la miglior religione. Se resta ancora qualche dubbio nello spirito del grand’uomo [il mandarino], reciterò davanti a lui i dieci precetti che insegna questa religione».
Così, il catechista elencò i Dieci Comandamenti. Durante la sua esposizione, il funzionario dimostrò, col proprio comportamento, di non aver capito nulla. Quando Girolamo ebbe terminato, gli chiese:
«Questi dieci precetti che avete recitato, dove li avete appresi? Avete dei libri dove si trovano?
«Come dicevo prima, studiando la storia universale ho trovato i precetti della religione cristiana, almeno in sostanza. Non solo i suoi adepti proclamano questi dieci precetti, ma gli stessi buoni pagani ne riconoscono la verità e la saggezza».
Con un breve commento per ciascun punto del Decalogo, Girolamo tentò di dimostrarne la verità, interrotto solo quando gli fu domandato, arrivato al terzo comandamento:
«Voi pregate solo in uno dei sette giorni della settimana?».
«Il settimo giorno, che è consacrato al Signore, noi ci asteniamo dai lavori servili fino a mezzogiorno [per dispensa della Santa Sede, i cattolici cinesi potevano lavorare da quell’ora in poi]».
Terminata l’esposizione, il mandarino rimase per un istante in silenzio. Poi, aspirando una presa di tabacco, disse:
«Bisogna che abbandoniate questa religione. Se adempirete questa condizione, vi rimetterò in libertà».
Uno dei capi del villaggio intervenne dichiarando che l’imputato non mostrava alcun segno di voler apostatare, ma Tai Lu Che lo ignorò, insistendo:
«Infine, vi pentite di seguire questa religione? Pertanto, se non volete rinunciarvi, il magistrato vi condannerà a morte? Lo capite? Non lo sapete?».
«Io, povero e umile, non posso pentirmi. Abbracciando la religione cristiana non ho fatto nulla che assomigli ad una ribellione; non ho ammesso nulla che non sia buono; ho voluto diventare un uomo di preghiera; non è una buona cosa darsi alla preghiera? Non mi pentirò mai. Ho voluto, seguendo questa religione del Signore del cielo, compiere il bene, guadagnarmi dei meriti; quando la mia testa cadrà a terra, la mia opera sarà compiuta. Grande uomo, voi avete studiato la letteratura, siete diventato saggio, e così siete stato elevato alla magistratura. Quanto a me, ho studiato la dottrina cristiana e sono stato elevato alla dignità di cristiano a cui non posso abdicare».
Nel vederlo inamovibile, il mandarino gli chiese:
«Nel consegnarvi alla morte, commetto un errore o no?».
Girolamo rispose con fermezza: «No!».
Dopo di lui, vennero interrogati Lorenzo e Agata, la quale era stata arrestata, non si sa se prima o durante il suo interrogatorio. Entrambi, seppur con differenti atteggiamenti, si dimostrarono altrettanto fermi nel non voler rinunciare alla fede. Di conseguenza, tutti e tre vennero condannati a morte. Appena ebbe udito la sentenza, Girolamo esclamò: «Gesù, salvaci!».
Il 28 gennaio 1858 si consumò il loro martirio, per decapitazione, sulla riva sinistra del fiume Ou. Si diffuse la voce che, al momento dell’esecuzione, tre fasci di luce, due rossi e uno bianco, fossero apparsi attorno a loro. Si disse anche che alcuni non cattolici, dopo la loro morte, avessero visto tre globi di luce salire in cielo. Alcuni loro amici, di notte, vennero a seppellirli.
Girolamo Lu Tingmei e i suoi compagni di martirio vennero inclusi nel gruppo di 33 martiri dei Vicariati Apostolici di Guizhou, Tonchino Occidentale e Cocincina, il cui decreto sul martirio venne promulgato il 2 agosto 1908. La beatificazione, ad opera di San Pio X, avvenne il 2 maggio 1909.
Inseriti nel più ampio gruppo dei 120 martiri cinesi, capeggiati da Agostino Zhao Rong, vennero infine iscritti nell’elenco dei santi il 1 ottobre 2000, da parte del Beato Giovanni Paolo II.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Girolamo Lu Tingmei, pregate per noi.
*San Giuliano di Cuenca - Vescovo (28 Gennaio)
Martirologio Romano:
A Cuenca nella Nuova Castiglia in Spagna, San Giuliano, vescovo, che, secondo presule dopo la liberazione della città dai Mori, diede lustro alla Chiesa, donandone i beni ai poveri e procurandosi il vitto quotidiano con il lavoro delle proprie mani.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuliano di Cuenca, pregate per noi.
*Beato Giuliano Maunoir - Sacerdote Gesuita (28 Gennaio)
Saint-George de Reintembault, Francia, 1° ottobre 1606 - Plévin, Francia, 28 gennaio 1683
Patronato: Bretagna
Martirologio Romano: Nel villaggio di Plévin nella Bretagna in Francia, Beato Giuliano Maunoir, sacerdote della Compagnia di Gesù, che tanto in paesi e villaggi quanto nelle città di questa provincia per quarantadue anni si dedicò interamente alle missioni al popolo.
Il Beato Giuliano Maunoir è considerato l’“apostolo della Bretagna”, regione storica della Francia, per la straordinaria opera missionaria che vi svolse per ben quarantadue anni. Nato il il 1° ottobre 1606 a Saint-George de Reintembault, quinto di sette figli di un modesto commerciante di tessuti.
Il venerabile Michele Le Nobletz (1577-1652), popolare missionario, apprese misteriosamente della sua nascita e che in lui Dio gli aveva preparato un aiuto ed un successore. Primi maestri di Giuliano furono i suoi genitori, soliti dividere volentieri con i poveri i proventi del loro lavoro.
Il gioco preferito di Giuliano consisteva nel riunire i compagni, schierarli a due a due in ordine processionale, e far ripetere loro le preghiere ed i canti imparati in chiesa.
Un sacerdote della parrocchia, notando le sue attitudini non comuni ai coetanei, gli insegnò i primi rudimenti del latino e gli permise di frequentare a Rennes il collegio dei Gesuiti tra il 1620 ed il 1625.
Giuliano non si lasciò influenzare dalle cattive compagnie e persuase alcuni compagni della congregazione mariana a bruciare i libri perversi, a non frequentare le osterie ed a moderare la passione del gioco. Udendo delle imprese missionarie dei Gesuiti in Cina, in Giappone, in America, ed al pensiero che tante anime si perdano per mancanza di apostoli, meditò finalmente di intraprendere la vita religiosa.
Durante il noviziato si distinse nell’esercizio della carità fraterna.
Sin dal tempo della vita collegiale si era proposto: “Voglio vivere come se non ci fosse che Dio, presupponendo sempre il suo soccorso: senza questo io so di non poter nulla... Sempre attento a ciò che Dio vuole da me, penserò a quello che Egli può volere da un gesuita per prepararmi a tutto ciò che richiederà il suo servizio.
Oh, quanto amo questo Dio infinitamente buono e quanto desidero farmi amare da Lui!”.
A tal fine iniziò a castigare in vario modo la sua carne. Dopo la professione religiosa Giuliano studiò filosofia per tre anni a La Flèche, sino al 1630. Suo compagno di studi fu Sant’Isacco Jogues, poi martire nell’America del Nord. Si disponeva ai ritiri coltivando la purezza e l’umiltà e durante uno di essi confessò nel suo Diario: “ho sentito con purissima gioia come se due angeli mi avessero cavato il cuore fuori dal petto e l’avessero spremuto per farne uscire tutto ciò che vi era di affezione naturale”. Il 15 luglio 1628 per l’intera giornata si sentì consumare dal fuoco del divino amore e “violentemente spinto a soffrire per Iddio”.
Meditando poi sui “due stendardi”, cioè quello di Cristo Re e quello di Satana, annotò: “Pativo di avere così pochi sacrifici da fare per il Signore, e la mia vocazione che mi destinava alla salvezza delle anime mi divenne ancora più cara.
Una voce inferiore mi ripeté quattro o cinque volte, con tono di ammirazione: "Ah! se tu sapessi! se tu sapessi!. Compresi allora che grande cosa sia il cooperare con Gesù alla conversione degli uomini... Per glorificare il mio Dio vorrei subire tutti i tormenti dell'inferno, eccetto la privazione del suo amore. Bramerei bene il fuoco del purgatorio: fa soffrire molto ma non impedisce di amare Dio”.
I superiori ebbero ad ammirare di questo giovane, ormai giunto all’unione mistica con il Signore, la condotta “sempre uguale, l’amabile attività senza fretta, la gaiezza tranquilla, doti che egli univa ad un’obbedienza perfetta, una carità affabile, ad una applicazione costante tanto al lavoro intellettuale come alla pietà, ad un raccoglimento senza contrasti e ad un grande dominio di se stesso”.
Al termine della filosofia fu destinato come professore nel collegio di Quimper, ma egli non rinunciò alla speranza di portare un giorno la fede ai pagani.
Un confratello lo esortava ad apprendere la lingua bretone, ma Padre Maunoir gli rispose: “Sappiate che la mia missione è la mia scuola, e che le lingue che debbo apprendere sono il latino e il greco. Se ne studierò qualche altra sarà quella del Canada, dove credo che Dio mi chiami”.
Gli fu nuovamente rivolta la proposta di dedicarsi alle missioni in Bretagna, ma ne era impossibilitato per la mancata conoscenza della lingua.
Un giorno, durante un pellegrinaggio ad un santuario mariano, ebbe una visione interiore dei vescovadi di Quimper, St-Brieuc, Leon e Trétone, e giunto dinanzi al quadro della Madonna così la pregò: “Mia buona Madre, se voi vi degnate di insegnarmi il bretone, lo apprenderò subito e sarò ben tosto in grado di guadagnarvi dei servitori”.
Tornato poi al collegio, i confratelli rimasero non poco perplessi circa il suo progetto, ma il provinciale nel 1631 gli diede il permesso e, dopo due soli giorni di studio, il Maunoir iniziò nelle campagne bretoni l’opera di catechizzazione e predicazione. Maria Santissima gli aveva miracolosamente concesso il dono della lingua.
Non appena ricevette gli ordini minori, Giuliano iniziò a recarsi tutte le domeniche nei paesi vicini a catechizzare il popolo. Tale era il suo ardore che nel 1632 si ammalò ed i superiori lo trasferirono allora a Tours, ove recuperò le forze e si diede a catechizzare i malati dell’ospedale, i poveri dei quartieri più abbandonati ed i carcerati.
Nel collegio di Bourges Giuliano si preparò all’ordinazione presbiterale e Dio gli concesse il dono della continua unione intima con Lui mediante la preghiera. Nel ritiro del secondo anno di teologia, compagno di San Gabriele Lallemant, anche lui martire nel 1646 in Canada, annotò: “Nostro Signore mi dice inferiormente: "Io ho faticato a lungo per le anime, ho pianto, ho sofferto, e sono morto per loro".
Queste parole mi commossero più che non lo sappia dire e l'ardore che già sentivo si accrebbe a tal punto che, se fosse stato necessario morire per salvare una sola anima, sarei morto con tutto il mio cuore”. Durante il terzo anno di teologia un braccio gli sì gonfiò oltre misura e lo ridusse brevemente in fin di vita. Prima di ricevere il viatico fece voto che, se fosse tornato in salute, avrebbe speso tutte le sue forze al servizio della popolazione bretone.
La risposta del Cielo fu affermativa ed appena guarì Giuliano tornò a predicare e ad insegnare il catechismo.
Divenuto sacerdote nel 1637, venne destinato in veste di professore al collegio di Nevers, ma ben presto furono accolte le sue richieste e dopo sette anni di assenza poté far ritorno a Quimper. Morto il vescovo che osteggiava la sua opera, Le Nobletz invitò Giuliano presso di lui nella solitudine di Conquet, gli fece la sua confessione generale, poi convocò i fedeli in chiesa e presentò loro il Maunoir quale suo successore.
Gli fece dono della sua campana ed i suoi quadri simbolici dei quali si serviva per meglio poter spiegare agli analfabeti i principali misteri della fede.
A Quimper molti sacerdoti, dopo qualche esitazione, rimasero attratti dall’idea del Maunoir, proponendosi anch’essi di predicare e confessare in tutta la diocesi. Il governatore di Quimper ed il Cardinale Richelieu arginarono con i loro aiuti la carenza di mezzi materiali. Giuliano Maunoir iniziò il suo apostolato nel porto di Douarnenez mettendo “in canto armonico” la parafrasi delle più importanti preghiere e verità della religione.
Prima di lasciare tale città, guarì una paralitica toccandone la fronte con un oggetto benedetto dal Le Nobletz.
Il missionario, ormai in fama di santità, si spinse ad evangelizzare anche le isole di Quessant, Molenes e Sein, ove trascinò migliaia di proseliti anche compiendo miracoli con il grano e l’olio benedetti.
Nonostante tanti successi, non mancarono però gli invidiosi che per mezzo di calunnie tentarono invano di farlo richiamare al collegio dei gesuiti, smentiti dalla testimonianza degli isolani. Persino i canti da lui composti furono incriminati ed interdetti da chi ignorava il bretone, ma i cresimandi venuti dalle isole catechizzate dal Maunoir non tardarono a farne accertare l’ortodossia.
Nel 1642 poterono finalmente essere dati alle stampe ed ebbero grande successo, contribuendo non poco alla riuscita delle processioni e delle sacre rappresentazioni evangeliche.
Dopo aver predicato nelle isole suddette, il Maunoir percorse, a piedi ed a cavallo, l’intera Bassa Bretagna fra pericoli e fatiche di ogni sorta ed in meno di dieci anni riuscì a catechizzare e confessare circa mezzo milione di persone.
Mentre Le Nobletz per necessità aveva quasi sempre lavorato da solo, il Maunoir suscitò invece molte vocazioni al sacerdozio, creandosi così validi aiuti per le sue fatiche apostoliche. Tutti lo seguivano volentieri e lo amavano poiché sempre si era dimostrato “umile, saggio, edificante, mortificato, povero, semplice, sempre pronto a soccorrere il suo prossimo a rendere servizio ai suoi nemici e a intraprendere tutto per guadagnare anime a Dio, fermo nell'esecuzione dei suoi disegni e pieno di confidenza nel braccio onnipotente che lo sosteneva”.
Ogni tanto Giuliano ritornava a riposarsi un po’ tra i confratelli, impiegando il tempo a prolungare l’efficace azione della sua parola con scritti ascetici e biografici. Nel 1671 decise di innestare l’opera dei ritiri su quella delle missioni ed il tentativo riuscì con successo. Non mancarono anche per lui periodi di malattia, ma infine ebbe una rivelazione che stava per giungere la sua ultima ora. Nel ritornare a Quimper, si dovette fermare a Plévin, ormai prostrato dalla febbre e da un violento male al fianco.
Si preparò alla morte sospirando: “Gesù è la mia vita, ed è un guadagno per me il morire”. Un nobile locale avrebbe voluto farlo trasportare nel suo castello per una migliore assistenza medica, ma egli preferì concludere l’esistenza terrena il più similmente possibile ai poveri. Ai numerosi sacerdoti che accorrevano al suo capezzale raccomandava: “Il più grande piacere che mi potete fare è quello di formulare o di rinnovare il proposito di lavorare nelle missioni fino al vostro ultimo respiro. Io non conosco funzione più santa e più utile”.
Julien Maunoir, ricevuti gli ultimi sacramenti, spirò infine il 28 gennaio 1683. In quella fredda sera invernale l’orizzonte a levante si infuocò misteriosamente.
Il vescovo di Quimper avrebbe voluto far tumulare le spoglie mortali del Santo missionario nella cattedrale, ma gli abitanti di Plévin si opposero fermamente.
Sulla tomba, pochi giorni dopo la sepoltura, un fanciullo paralitico riacquistò improvvisamente la salute dinanzi ai fedeli che gremivano la chiesa. In seguito al decreto pontificio promulgato il 4 marzo 1951 dal Pontefice Pio XII, il 20 maggio seguente Giuliano poté essere elevato alla gloria degli altari ed al rango di protettore della Bretagna.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuliano Maunoir, pregate per noi.
*San Giuseppe Freinademetz - Missionario (28 Gennaio)
Ojes, Val Badia (Bolzano), 15 aprile 1852 - Taickianckwang, Cina, 28 gennaio 1909
Padre Giuseppe Freinademetz, nasce ad Ojes in val Badia nel 1852, in una famiglia religiosissima.
Viene ordinato sacerdote nel 1875.
Entra nella Congregazione del Verbo Divino e parte per la Cina.
Va prima ad Hong Kong, poi nello Shan-tung, dove si dedica per quasi 30 anni, all'attività apostolica e missionaria; cura con amore la formazione del clero locale e scrive per gli studiosi cinesi un trattato di teologia. Viene perseguitato, come tutti gli altri missionari cristiani, dai famigerati «Boxers», membri di una società segreta cinese, promotori di un movimento xenofobo scoppiato dopo la sconfitta della Cina da parte del Giappone nel 1895.
Nello Shan-tung furono molto violenti, appoggiati dall'imperatrice vedova Tzu Hsi e del suo consigliere il principe Tuan, ammazzando centinaia di missionari e cinesi cattolici convertiti.
Padre Giuseppe Freinademetz, riesce a scampare da questa persecuzione, morendo invece di tifo a Taickianckwang il 28 gennaio 1909.
La sua causa di beatificazione viene introdotta il 22 giugno 1951.
È Beatificato insieme al fondatore della Congregazione Arnoldo Janssen, il 19 ottobre 1975 da Papa Paolo VI e canonizzato da papa Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003. (Avvenire)
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Martirologio Romano: Nella città di Daijiazhuang nella provincia meridionale dello Shandong in Cina, San Giuseppe Freinademetz, sacerdote della Società del Verbo Divino, che si adoperò instancabilmente per l’evangelizzazione di questa regione.
Padre Giuseppe Freinademetz, nacque ad Ojes in Val Badia, provincia di Bolzano in Alto Adige, il 15 aprile 1852, in una famiglia religiosissima.
Fu educato nella pratica delle virtù cristiane, specie nella preghiera; frequentò prima le scuole di Badia, poi nel collegio San Cassiano di Bressanone.
Entrò nel seminario diocesano dove completò tutti gli studi necessari, venendo ordinato sacerdote il 25 luglio 1875; dopo un anno divenne cappellano di San Martino di Bressanone, dove svolse un intenso ministero sacerdotale.
Ma lo spirito missionario, che viveva in lui lo fece decidere di entrare il 4 luglio 1879, nella Congregazione del Verbo Divino, fondata dal Beato Arnoldo Janssen nel 1875, e dopo qualche tempo di preparazione, poté realizzare il suo sogno, partendo per la Cina.
Fu prima ad Hong Kong, poi nello Shan-tung, dove si dedicò per quasi 30 anni, all’attività apostolica e missionaria con completa dedizione; curò con amore la formazione del clero locale e scrisse per gli studiosi cinesi un trattato di teologia, che in seguito fu più volte ristampato.
Fu perseguitato, come tutti gli altri missionari cristiani, dai famigerati ‘Boxers’, membri di una società segreta cinese, promotori di un movimento xenofobo scoppiato dopo la sconfitta della Cina da parte del Giappone nel 1895. Nello Shan-tung furono molto violenti, appoggiati dall’imperatrice vedova Tzu Hsi e del suo consigliere il principe Tuan, ammazzando centinaia di missionari e cinesi cattolici convertiti.
Padre Giuseppe Freinademetz, riuscì a salvare la vita, in questa persecuzione, morendo invece di tifo a Taickianckwang il 28 gennaio 1909.
La sua causa di beatificazione fu introdotta il 22 giugno 1951.
È stato beatificato insieme al fondatore della Congregazione Arnoldo Janssen, il 19 ottobre 1975 da Papa Paolo VI e canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 5 0ttobre 2003.
La sua festa religiosa è al 28 gennaio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Freinademetz, pregate per noi.
*San Lorenzo Wang Bing - Catechista e Martire (28 Gennaio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Santi Martiri Cinesi" (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)
+ Mao-Keou, Cina, 28 gennaio 1858
Martirologio Romano: Nella città di Maokou nella provincia del Guizhou in Cina, santi martiri Agata Lin Zhao, vergine, Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing: catechisti, furono denunciati come cristiani sotto l’imperatore Wenzongxian e infine decapitati.
Lorenzo Wang Bing, nativo di Guiyang, era l’unico figlio maschio in una famiglia cattolica. Durante la Rivolta del Loto Bianco, i suoi genitori vennero imprigionati insieme ad altri cristiani. Poco dopo, vennero esiliati a Yili, in Mongolia, e vi morirono. Lorenzo allora andò a vivere con sua sorella maggiore, ma quando anche lei venne esiliata andò ad abitare da una zia.
A vent’anni si sposò con Maria Ly Che, la quale gli diede due figli e tre figlie. Era benestante e possedeva alcuni terreni. Era noto per la sua generosità e per la sua carità, che lo resero il capo della sua comunità cattolica.
Nel 1854, nelle località di Pingyue e Wongan si verificarono numerose conversioni, grazie all’attività missionaria di Lorenzo. L’anno seguente, chiese di andare a Puan e anche lì portò molti alla fede.
Tempo dopo, sulla base di alcune accuse falsamente rivolte contro di lui, scappò a Maokou, dove l’attendeva l’amico Girolamo Lu Tingmei.
I due decisero di costruire un luogo dove predicare e fare catechismo, ossia una chiesa o cappella: Lorenzo voleva erigerla dietro il villaggio, mentre Girolamo preferiva uno spazio vuoto, accanto al tempio degli antenati; alla fine il suo parere prevalse.
Uno zio non cristiano di Girolamo, Lu Sankong, e un cugino, Lu Kuepa, furono scontenti di quel progetto e decisero di contrastarlo con tutti i mezzi possibili, anche se l’autorità del loro parente era tale da non permettere nessuna opposizione aperta.
Un altro zio, Lu Wenzai, aveva avuto un vago desiderio di farsi cristiano e aveva chiesto al nipote alcuni chiarimenti sulla dottrina, ma cambiò idea così radicalmente da diventare un persecutore dei neofiti. Per attuare il loro piano, attesero cinque giorni dall’inizio dei lavori di costruzione, poi, in segreto, riferirono ad alcuni soldati che un predicatore della religione cristiana, insieme ad alcuni compagni, voleva costruire un luogo di preghiera che sarebbe diventato più bello del tempio degli antenati.
I soldati ritennero che l’affare meritasse considerazione, così introdussero gli accusatori al funzionario che faceva da intermediario fra il popolo e il mandarino Tai Lu Che. Costui li indirizzò al suo superiore, che prima mandò due sottoposti a controllare la situazione a Maokou, poi vi si diresse personalmente. Dopo essersi consultato insieme ai capi del villaggio, il mandarino ordinò a tre soldati di prelevare Lorenzo e Girolamo.
Il 13 dicembre 1857, al momento dell’arresto, i due catechisti, insieme ad altri compagni, erano radunati per le preghiere della sera. Quando i soldati fecero loro cenno di seguirli, Girolamo prese con sé un opuscolo che conteneva il testo del trattato di tolleranza stipulato nel 1846 e due libriccini cristiani, supponendo che sarebbe comparso davanti al mandarino.
Appena i due giunsero davanti a Tai Lu Che, egli iniziò l’interrogatorio, che qui traduciamo dagli Annali delle Missioni Estere di Parigi. Dopo essersi rivolto a Girolamo, passò a Lorenzo:
«Qual è il vostro nome?».
«Mi chiamo Wang e sono cristiano».
«Qual è il vostro paese natale?».
«Io sono di Guiyang».
«Cosa fate qui?».
«Insegno i libri».
«Quanti studenti avete?».
«Ne ho cinque».
«Non manchiamo di maestri qui; perché siete venuto da così lontano per insegnare?».
«Sono venuto perché sono stato invitato».
«Perché non siete alloggiato nell’albergo della piazza pubblica e ricevete l’ospitalità della famiglia di Lu Tingmei?».
«Sono ospitato da lui perché anch’io, un poveruomo, pratico la religione del Signore del Cielo».
«Perché non tornate indietro a trascorrere il nuovo anno insieme alla vostra famiglia?».
«Ho voluto andarmene molte volte, ma sono stato sempre impedito dall’insicurezza delle strade».
«Partite domani; ordinerò ai soldati di condurvi fino a Guiyang».
Lorenzo e Girolamo, terminato il processo, tornarono nella casa di quest’ultimo. Dopo che egli ebbe rivolto parole di conforto ai figli e a sua madre, l’amico andò con lui a confortare la vergine Agata Lin, la quale li invitò a prepararsi al martirio o a un altro processo.
Dopo una leggera cena, i membri della famiglia andarono a riposare, mentre Girolamo e Lorenzo, rimasti soli, vegliarono in preghiera. Avrebbero potuto fuggire durante la notte, ma preferirono restare, per evitare alla nascente comunità cristiana una persecuzione che l’avrebbe distrutta. Speravano, quindi, che la loro vita sarebbe bastata per assicurare la pace e procurare ai neofiti la libertà religiosa. Nel frattempo, il mandarino era indeciso se condannare i due o meno, ma le insinuazioni dello zio di Girolamo lo fecero decidere per la pena capitale.
Fra le sette e le otto del mattino del 14 dicembre, poco dopo che ebbero terminato la preghiera del mattino recitata in comune, Lorenzo e Girolamo seguirono i soldati che li avevano fatti chiamare su ordine di Tai Lu Che, presso l’albergo dove lui era alloggiato. Si prostrarono davanti al mandarino, poi rimasero in ginocchio; Lorenzo si trovava a sinistra del compagno.
Il primo a essere interrogato fu Girolamo, a cui vennero rivolte le medesime accuse del giorno precedente, che contrastò esponendo con serenità i dieci comandamenti e guardando sempre in faccia il suo persecutore. Lorenzo, invece, rimase con gli occhi rivolti a terra e rispose alle domande a bassa voce.
Cominciò rispondendo che si era fermato a Maokou per ricambiare la visita che Girolamo gli aveva fatto quando era passato nel suo paese. Alcuni dignitari, però, fecero presente al mandarino che l’avevano spesso visto là e che, durante la sua sosta, l’avevano spesso udito cantare e pregare insieme agli altri cristiani dei paraggi, sospettando che stessero organizzando una rivolta. Tai Lu Che continuò:
«Se siete venuto di passaggio, non bastava che vi riposaste un giorno da un amico, durante il vostro viaggio?».
Lorenzo rimase in silenzio. Il mandarino, pensando che non avesse capito, riprese:
«Dunque, voi mangiate questa religione? Siete venuto qui per corrompere gli abitanti nel propagare la vostra setta! Non ne avete già corrotti abbastanza, a tal punto che serie calamità minacciano questo paese? Tornate a Guiyang; là, se i magistrati supremi lo gradiranno, mangerete la vostra religione!».
«Io non mangio la mia religione», replicò il catechista. La pratico o, meglio, la confesso».
«Che vuol dire praticare o confessare la religione?».
«Noi pratichiamo la religione osservando i dieci precetti del Decalogo».
Così anche Lorenzo elencò i comandamenti, dal primo all’ultimo, come Girolamo. L’interrogatorio proseguì:
«Nella vostra setta, la preghiera fatta in particolare, da parte di un solo uomo, è efficace?».
«Sì, è efficace».
«Allora perché, al ritorno del primo giorno della settimana, vi radunate per cantare delle preghiere tutti insieme, uomini e donne? Secondo me, è evidentemente per tramare dei complotti e commettere crimini».
«Grande uomo, la religione cristiana è buona e santa e non può condurre a nulla di male».
«Se questa religione è buona, come può far sì che uomini e donne si radunino per recitare delle preghiere? Voi siete venuto da Guiyang ma costei – disse indicando Agata Lin, arrestata forse durante o dopo l’interrogatorio di Girolamo, «che non è sposata? Cos’ha dunque in comune con voi, per riunirvi qui, se voi non state macchinando una rivolta o cose dannose o malvagie? In una parola, perché avete abbandonato la città di Guiyang?».
«Io dichiaro di aver ricevuto questa religione dai miei genitori. I nostri antenati ci hanno trasmesso questo modo di pregare. Come smetterei di pregare? Come potrei abbandonare la mia religione?».
«Chi pensa a preoccuparsi dei pagani che adorano gli idoli, in base alla tradizione dei loro antenati, o a forzarli a rigettare il culto che hanno ricevuto dai loro genitori e che vogliono conservare? Voi mi ordinate di rinunciare alla mia religione; io non ci rinuncio, e non mi pento di averla abbracciata».
«Vi interrogo ancora una volta: volete infine pentirvi?».
«Io non mi pento!».
«Ho saputo che gli abitanti di questo villaggio si lamentano che voi vi siete fermato qui più a lungo di quanto si possa tollerare. Bisogna assolutamente che vi pentiate; vi pentite, adesso?».
«Io non mi pento! La mia religione è l’omaggio supremo di tutti gli esseri al Principio sovrano. Come potrei rinunciare a questa religione? Io non mi pento!».
Il prefetto, vinto una seconda volta, gridò incollerito:
«Non vi pentite? Ebbene, siete condannato a morte! Non lo capite? Non l’avete capito?».
Successivamente, fu il turno di Agata Lin, che si dimostrò si dimostrarono altrettanto ferma nel non voler rinunciare alla fede. Di conseguenza, il mandarino pronunciò per tutti e tre la condanna a morte. Appena l’ebbe udita, Girolamo Lu Tingmei esclamò: «Gesù, salvaci!».
Il 28 gennaio 1858 si consumò il loro martirio, per decapitazione, presso la riva sinistra del fiume Ou. Si diffuse la voce che, al momento dell’esecuzione, tre fasci di luce, due rossi e uno bianco, fossero apparsi attorno a loro. Si disse anche che alcuni non cattolici, dopo la loro morte, avessero visto tre globi di luce salire in cielo. Alcuni loro amici, di notte, vennero a seppellirli.
Lorenzo Wang Bing e i suoi compagni di martirio vennero inclusi nel gruppo di 33 martiri dei Vicariati Apostolici di Guizhou, Tonchino Occidentale e Cocincina, il cui decreto sul martirio venne promulgato il 2 agosto 1908. La beatificazione, ad opera di San Pio X, avvenne il 2 maggio 1909.
Inseriti nel più ampio gruppo dei 120 martiri cinesi, capeggiati da Agostino Zhao Rong, vennero infine iscritti nell’elenco dei santi il 1 ottobre 2000, da parte del Beato Giovanni Paolo II.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lorenzo Wang Bing, pregate per noi.
*Beata Maria Luisa Montesinos Orduna - Vergine e Martire (28 Gennaio)
Valencia, Spagna, 3 marzo 1901 – Picassent, Spagna, 28 gennaio 1937
Martirologio Romano: Nella cittadina di Picassent nel territorio di Valencia in Spagna, Beata Maria Luisa Montesinos Orduña, Vergine e Martire, che, mentre imperversava la persecuzione contro la fede, con il martirio partecipò della vittoria di Cristo.
Maria Luisa Montesinos Orduña, fedele laica dell’arcidiocesi di Valencia, nacque il 3 marzo 1901 in tale città e fu battezzata due giorni dopo. Ricevette il sacramento della confermazione il 18 marzo 1907, all’età di soli sei anni, nella chiesa di Sant’Andrea Apostolo.
Educata in un collegio di religiose, conseguì una buona cultura generale.
La sua vita si orientò poi al servizio dei propri genitori.
Aderì all’Azione Cattolica Spagnola e partecipò quotidianamente alla celebrazione eucaristica, distinguendosi inoltre per la sua devozione mariana.
Fu un’attiva catechista, si dedicò alla cura degli ammalati ed alla carità verso i poveri.
Allo scoppio della guerra civile e della feroce persecuzione religiosa che attraversò la Spagna, Maria Luisa fu chiamata ad effondere il suo sangue e donare la vita per difendere la sua fede in Cristo, insieme alla sua famiglia: il padre, una sorella, due fratelli e una zia.
L’eccidio ebbe luogo il 28 gennaio 1937 a Picassent, nei pressi di Valencia. Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001 elevò agli onori degli altari ben 233 vittime della medesima persecuzione, tra le quali la Beata Maria Luisa Montesinos Orduña, che viene oggi festeggiata nell’anniversario del suo martirio.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Luisa Montesinos Orduna, pregate per noi.
*San Meallan di Cell Rois (28 Gennaio)
Il 28 gennaio nel Martirologio di Tallaght e in quello del Donegal è ricordato Meallan di Cill Ruis, o Cell Rois, oggi Kilrush, nella contea di Clare.
O'Hanlon, sulla scorta della tradizione patriziana quale è riferita da Goscelino, avanza l'ipotesi di una possibile identificazione di Meallan con Meldan o Mellan, giovane chierico irlandese, che con i suoi compagni Lugacius, Columban (o Columba), Lugad (o Lugadius), Cassanus e Ceranus (cioè Ciarano di Saigir) fu benedetto da San Patrizio di ritorno da un viaggio a Roma o in procinto di intraprenderne uno.
I sei giovani erano desiderosi di istruirsi nelle Sacre Scritture e furono confortati dalla profezia di Patrizio, secondo cui essi sarebbero divenuti Sacerdoti e poi Vescovi, profezia che puntualmente si avverò.
(Autore: Mario Salsano – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Meallan di Cell Rois, pregate per noi.
*Beata Olimpia (Olha Bidà) - Religiosa e Martire Ucraina (28 Gennaio)
Scheda del gruppo a cui appartiene: "Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini"
Tsebliv, Lviv, 1903 - Kharsk, Siberia, 28 gennaio 1952
Olimpia (Olha) Bidà, religiosa ucraina, è stata beatificata da Giovanni Paolo II a Leopoli (Lviv) insieme ad altri 24 martiri del comunismo il 27 giugno 2001. Nata nel 1903 in un villaggio della regione di Leopoli, apparteneva alla comunità greco-cattolica. Divenuta Suora della Congregazione di San Giuseppe, operò come catechista, maestra delle novizie e nell'assistenza ad anziani e malati.
Un'attività di sostegno ai fedeli che divenne ancor più preziosa dopo il 1945, sotto la persecuzione comunista, che spedì nei lager molti sacerdoti.
Anche lei subì controlli repressivi come superiora del convento di Kheriv. Nell'aprile del 1950, mentre accompagnava un funerale, venne arrestata con una consorella. Capo d'accusa: attività antisovietica.
Deportata nel lager di Kharsk, in Siberia, continuò a esercitare il suo apostolato, organizzando con altre religiose gruppi di preghiera e supporto ai prigionieri. Morì nel 1952 di stenti e per le mancate cure mediche. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Kharsk presso Tomsk nella Siberia in Russia, Beata Olimpia (Olga) Bidà, vergine della Congregazione delle Suore di San Giuseppe e martire, che in regime di persecuzione contro la fede sopportò ogni avversità per amore di Cristo.
Olha nacque nel 1903 nel villaggio di Tsebliv (regione di Lviv).
Suora della Congregazione delle Suore di A San Giuseppe, si sa che svolgeva la sua attività nel villaggio di Zhuzhil.
Dopo il 1945, durante la persecuzione comunista, fece attività d’apostolato sostituendo diversi sacerdoti scomparsi nelle carceri e nei lager sovietici.
Nell’aprile del 1950, anche suor Olimpia fu catturata insieme a Suor Laurentia mentre accompagnavano un fedele defunto al cimitero.
Il 27 maggio 1950 fu dichiarata colpevole di attività antisovietica e quindi deportata nel lager di Kharsk in Siberia, dove morì di stenti e mancate cure mediche, il 28 gennaio 1952 all’età di 49 anni. Beatificata il 27 giugno 2001, insieme ad altri 24 Martiri Ucraini da papa Giovanni Polo II a Leopoli (Lviv) durante il suo pellegrinaggio apostolico nella gloriosa terra d’Ucraina.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Olimpia, pregate per noi.
*Beato Pietro Wong Si-jang - Martire (28 Gennaio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Coreani" (Paolo Yun Ji-chung e 123 compagni)
Hongju, Corea del Sud, 1732 – 28 gennaio 1793
Pietro Wong Si-jang, a cinquantasette anni, aderì al Cattolicesimo poco tempo dopo la sua introduzione in Corea e si diede all’insegnamento del catechismo tra i suoi parenti e amici. Scoperto dalle autorità governative durante la persecuzione Sinhae del 1791, vene più volte torturato e percosso, ma non rinnegò mai gli insegnamenti che aveva ricevuto.
Morì per le conseguenze di un’ultima tortura il 28 gennaio 1793.
Inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
Pietro Wong Si-jang nacque nel 1732 a Hongju, nell’antica provincia del Chungcheong, da una famiglia di ceto umile.
Tra il 1788 e i 1789, pochi anni dopo l’introduzione del Cattolicesimo in Corea, lui e suo cugino Giacomo Won Si-bo vi aderirono dopo averne ascoltato gli insegnamenti.
All’epoca, Pietro aveva circa 57 anni. “Si-jang” era il suo nome da adulto, in base all’usanza, di stampo confuciano, in base alla quale i giovani che raggiungevano la maggior età ricevevano un nuovo appellativo.
Per approfondire il catechismo, Pietro lasciò casa sua per un anno. Durante quel periodo maturò una profonda convinzione: «La fede cattolica è una medicina per mantenere la vita umana viva per centinaia d’anni».
Tornato a casa, spiegò a parenti e amici i punti cardine del catechismo: persuase tutti coloro che l’ascoltavano, pur non essendo ancora battezzato. Evidentemente, la grazia di Dio agiva già in lui.
Per il suo carattere feroce, era stato soprannominato “tigre”, ma, praticando le virtù cristiane, s’ingentilì. Distribuì la sue sostanze ai poveri e si diede all’insegnamento del catechismo ai suoi vicini. Fu proprio per questa sua attività che divenne noto alle autorità civili.
Con l’esplosione della persecuzione Sinhae nel 1791, la polizia venne ad arrestare Pietro e Giacomo: il secondo riuscì a fuggire grazie all’avviso di alcuni amici, l’altro venne catturato e portato all’ufficio governativo di Hongju. Immediatamente sottoposto a interrogatorio, non si piegò e affermò: «Non posso tradire né il Signore né i miei compagni cristiani, e neppure dire dove sono i libri della Chiesa».
Il magistrato che l’interrogava ordinò di percuoterlo sulle natiche per settanta volte. Ciò nonostante, lui esprimeva continuamente la propria fedeltà a Dio, ai genitori e all’insegnamento della religione cattolica.
Durante la sua prigionia, Pietro venne spesso richiamato dal giudice per essere invitato ad apostatare, ma, invece di ritrattare, continuava a spiegargli le verità di fede. Nel frattempo, ricevette la visita di un fratello nella fede, che lo battezzò.
Il magistrato dello Hongju riferì l’andamento della vicenda al governatore e ricevette l’ordine di picchiare il prigioniero fino a farlo morire. Dopo ulteriori torture, tentò di convincerlo ad apostatare facendo appello al suo amore paterno.
Pur sentendo parlare dei suoi figli, Pietro replicò: «Il mio cuore è profondamente commosso dalle storie dei miei bambini, ma, dato che il Signore stesso mi chiama, come posso rifiutarmi di rispondere alla Sua chiamata?».
Il magistrato, volendo concludere il caso il prima possibile, ordinò che Pietro, secondo l’uso, ricevesse il suo ultimo pasto prima di essere percosso a morte. Nonostante ciò, lui rimase ancora in vita. A quel punto, venne condotto all’esterno e gli venne versata sul capo dell’acqua, che congelò all’istante (era il 28 gennaio 1793). L’uomo trascorse i suoi ultimi momenti meditando sulla Passione di Gesù e, offrendo la sua vita a Dio, emise la sua ultima preghiera di rendimento di grazie.
Pietro Wong Si-jang, inserito nel gruppo di martiri capeggiato da Paolo Yun Ji-chung, è stato beatificato da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Wong Si-jang, pregate per noi.
*San Tommaso d'Aquino - Sacerdote e Dottore della Chiesa (28 Gennaio e 7 Marzo)
Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274
Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore.
Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione.
Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)
Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti
Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico
Emblema: Bue, Stella
Martirologio Romano: Memoria di San Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal Beato Papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
(7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di San Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).
Quando Papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.
Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.
Domenicano; incomprensioni della famiglia
Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.
Studente a Colonia con Sant’ Alberto Magno
Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.
Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.
Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore Sant' Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.
Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.
Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.
La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di san Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo Papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.
Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.
L’interruzione radicale del suo scrivere
Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.
I doni mistici
La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.
Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.
La sua fine nell’abbazia di Fossanova
Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.
Il suo insegnamento teologico
La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323.
Il suo culto
Nel 1567 San Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.
La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.
A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.
“Pange lingua” di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)
Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.
Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.
In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.
Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.
Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.
Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio. Amen.
“Pange lingua” (Traduzione italiana)
Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.
Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.
Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.
Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.
Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi. Amen.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tommaso d'Aquino, pregate per noi.
*San Valerio (Valero) di Saragozza - Vescovo (28 Gennaio)
Valerio nacque nel corso del sec. III. Secondo alcuni la sua città natale sarebbe stata Saragozza e si suppone la sua appartenenza alla famiglia Valeria che, lasciata Roma pochi anni prima della sua nascita, si sarebbe trasferita in Spagna.
Non si hanno comunque particolari più precisi sulle sue origini e sul periodo che precede il suo episcopato.
Durante l'impero di Diocleziano egli reggeva la Chiesa di Spagna e verso l'anno 300 partecipò con altri diciotto vescovi a un concilio che si tenne ad Elvira (Spagna), città che si trovava nelle vicinanze dell'attuale Granada.
Nell'anno 303 gli imperatori Diocleziano e Massimiano avevano iniziato la persecuzione contro i cristiani e in quel tempo la Spagna era retta da Daciano, un crudelissimo persecutore.
Questi fece imprigionare Valerio e il suddiacono Vincenzo e ordinò che insieme fossero condotti a Valenza. Qui giunti li fece rinchiudere in una orribile prigione e li lasciò per molto tempo con pochissimo cibo nella speranza di piegare la loro resistenza.
Dopo gli interrogatori subiti a Valenza, Valerio fu condannato all'esilio e a questo punto hanno termine le notizie forniteci dagli Atti. Si narra che durante l'esilio ad Anet (Aragona) Valerio, appresa la notizia del martirio di Vincenzo, avrebbe fatto costruire una chiesa in suo onore.
Dopo circa dodici anni di esilio, Valerio morì nel 315 ad Anet e il suo corpo fu sepolto dai cristiani del luogo in una chiesa che si trovava nell'interno della fortezza di Strada.
La chiesa fu però distrutta da un incendio e la memoria del santo dimenticata per molti anni.
Nel 1065 però, Arnolfo, vescovo di Rota, guidato da una rivelazione divina trovò le reliquie e le trasportò a Rota nella chiesa di San Vincenzo.
Il ricordo di questa traslazione viene celebrato tutti gli anni in questa chiesa il 20 ottobre.
Il Martirologio Geronimiano ricorda Valerio insieme con San Vincenzo il 22 gennaio e il 31 ottobre.
Il Martirologio Romano menziona Valerio il 28 gennaio.
La città di Saragozza, di cui è patrono, lo ricorda il 29 gennaio.
(Autore: Francesco Antonio Angarano – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Valerio di Saragozza, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (28 Gennaio)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.